La devitalizzazione di un dente equivale alla sua asportazione tramite un intervento. La denominazione di “cura canalare” rimanda all’operazione nel corso della quale si interviene sui canali interni del dente che, per essere devitalizzato, deve essere privato delle terminazioni nervose.
I disturbi che portano alla devitalizzazione
Tra i motivi che possono far decidere ad un odontoiatra di devitalizzare un dente, senza dubbio il primo è la carie. Ma oltre a questa, esistono anche traumi, granulomi o altre lesioni profonde che provocano infezioni alla radice, al tessuto e all’osso che circonda il dente. Quando si rischia una necrosi solitamente, si interviene devitalizzando. I sintomi che devono preoccupare un paziente oltre al dolore localizzato, sono anche la sensibilità a cibi caldi o freddi, una perdita di colore del dente e una disidratazione dei nodi linfatici.
Come si devitalizza un dente
La devitalizzazione rientra nel campo dell’endodonzia e viene definita tecnicamente cura canalare poiché nel corso dell’intervento, vengono svuotati i canali del dente per essere disinfettati e ripuliti. Una volta rimosso il materiale infetto, il canale viene sigillato.
Dopo la devitalizzazione
Accade spesso di avvertire dolore su un dente devitalizzato: bisogna ricordare che un dente appena devitalizzato è più sensibile alla pressione masticatoria e può dunque procurare fastidio durante i pasti. Tale condizione può durare nei 2 o 3 giorni successivi all’intervento di devitalizzazione. Nel caso in cui il dolore non accenni a passare, è consigliabile sottoporsi ad una visita di controllo per escludere ulteriori infezioni o problematiche legate all’intervento.